Il lavoro che ti meriti

Breve storia del merito che non serve a un cazzo!

Sono sempre stata una dannata stacanovista.
Ho iniziato a lavorare quando avevo 14 anni, in estate, da una parrucchiera. E quando dico lavorare, intendo LAVORARE! Non ci andavo una  volta ogni tanto, ci andavo tutti i giorni mattina e  pomeriggio, domenica e  lunedì compresi. Mentre lavavo le teste vedevo la gente al mare.
Ho fatto tre stagioni come shampista, adoravo stare in negozio.
Ho imparato a spazzare, a pulire come si deve un luogo diverso dalla mia cameretta, ma soprattutto ho imparato a relazionarmi con i clienti in quel modo, informale ma non troppo, che ancora utilizzo.

Le stagioni successive invece le ho passate al bar da Carlo, un signore che insieme alla moglie mi trattavano come una figlia ma lì dentro mi facevo un gran culo.
L’estate della maturità è stata durissima, non volevo rinunciare a niente: lavoravo mattina e sera al bar, il pomeriggio studiavo e la notte uscivo con le amiche. Credo di aver dormito 5 ore in tutta l’estate ma campavo di soddisfazione.
Non mi sono mai presa un riposo, non avevo giorno libero ma non mi sentivo sfruttata, mai!
Prendevo dei bei soldi, forse proporzionati all’età, però ricordo dei bei soldi.
Al bar Plaza, si chiamava così, ho imparato che quando sei al banco, al cliente non gli si voltano mai le spalle ma al tempo stesso non bisogna neanche piegarsi ad ogni suo singolo capriccio.

Ho sempre studiato e lavorato, fin quando ho terminato gli studi e ho continuato a lavorare.
Non credo di essere mai stata un giorno senza lavorare.
Ho fatto di tutto: dalla hostess in fiera, passando per la maschera e la biglietteria del teatro, arrivando all’addetta smoothies quando vivevo all’estero. Ho lavorato a Rimini, a Cervia, a Ferrara, in Germania mentre ero in Erasmus, a Dublino col mio ex, a Milano durante il master.
Non voglio dire che mi pagassi gli studi, quello lo facevano i miei genitori, ma mi pagavo i viaggi, la benzina, la pizza fuori, i vestiti, la ricarica al cellulare e ogni mia spesa. Soprattutto mi pagavo le vacanze, sempre tante e stravissute.

Il fatidico contratto a tempo indeterminato

Nel 2011 mi arriva una telefonata da una GDO libraria. E’ prevista un’apertura a Rimini e cercano dei librai. Cazzo! il mio sogno.

Colloquio top, formazione a Ravenna e via che comincio a Rimini entusiasta di tutto.
I primi anni sono stati adrenalinici: corsi a Bologna, Roma, Milano ecc. Dall’alto veniva notato come lavoravi e c’era la voglia e la speranza di poter crescere in un’azienda che ti faceva sentire parte di qualcosa di raro nel panorama italiano.
Poi pian piano il castello è crollato.
Finiti i corsi, cambi di capi area continui, personale smarrito strada facendo e mai reintegrato da nuove assunzioni e cambio sistema informatico. Abbiamo pc che funzionano a singhiozzo e la formazione sul nuovo sistema è “fai da te”.
Nel corso di questi sette anni, all’azienda ho dato davvero tutto e continuerei a farlo se mi mettesse in condizioni di conciliare la mia vita lavorativa con la crescita di Diego.

Nel corso di questi sette anni ho lavorato 50 ore a settimana quando serviva. Sono stata e sono disponibile a cambi turno repentini, ad orari stabiliti una settimana per l’altra perché non essendoci personale è difficile costruire gli orari e ad essere trasversale in ogni funzione.
In questi sette anni sono stata a casa due volte: una avevo fatto un incidente e l’altra ero in maternità.
Ho lavorato in piedi 40 ore a settimana movimentando merce, colli e ceste con una pancia di quasi sette mesi e nausee che vedevo doppio.
Con questo io non voglio innalzarmi ad eroina di stocazzo ma voglio dire che per me il lavoro è etica, mentalità e rispetto per chi mi accredita lo stipendio tutti i mesi ed è giusto, fino a un certo punto, stringere i denti se i negozi sono in difficoltà.

Ora però è a me che serve una cosa: voglio poter continuare a lavorare e conciliare la mia vita privata e Diego. L’azienda, alla mia richiesta di rimanere a 30 ore a settimana (a ottobre dovrei rientrare a 40 perché termina l’allattamento) ha risposto picche, t’attacchi e povera illusa.
Ciò significa che tornando full time torno a fare turni dalle 10 alle 20 con un’ ora di pausa. Torno a lavorare anche 12 giorni di fila quando faccio la domenica.
Esco alle 9.30 del mattino per rientrare alle 21 dato che la chiusura serale è piuttosto complessa.

E Diego? Con la nonna? Ma la nonna ha anche i cazzi suoi da fare. La nonna ha già fatto la mamma. E la mamma non può a fare la mamma. E io la maternità facoltativa non me la posso permettere. Non posso stare al 30% dello stipendio. Ma poi a breve dovrei comunque rientrare full time. L’azienda ha detto che potrebbe valutare un 18/20 ore ma lo stipendio sarebbe troppo basso e ora come ora i 200 euro mi fanno la differenza.
Ho bisogno delle 30 ore ma loro no perché è un contratto che gli costa troppo e si creerebbero precedenti per il futuro. Insomma non sarei altro che un precedente.
Quindi ora cosa dovrei fare? Dovrei licenziarmi? Rimanere disoccupata? Disoccupata io che non ho fatto altre che lavorare, che voglio lavorare più di ogni altra cosa non ho altra scelta.

P.S. se qualcuno che mi sta leggendo ha un lavoro a 30 ore da offrirmi mi contatti. Yo!

ph. Davide Zecchetto

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